SISTO RUSSO. CONIUGARE LA SPINTA CIVICA CON MODELLI CONSOLIDATI

Sisto Russo interverrà su volontariato in cambiamento e nuove forme di attivismo civico nel convegno CSV Lazio del 16 Giugno. «Mettere in collegamento chi ha voglia di fare e chi ha le competenze e l’organizzazione per farlo»

di Chiara Castri

Sisto Russo, Direttore Ufficio Volontariato e Risorse del Servizio Nazionale Dipartimento Nazionale di Protezione Civile, è un funzionario pubblico arrivato nel mondo del volontariato per dovere istituzionale, «un mondo di cui mi sono innamorato in maniera profonda». La sua è una formazione amministrativa, ma quando gli viene proposto di assumere il suo incarico di coordinamento, si rende conto appieno di ciò che questo voglia dire da un punto di vista umano ed emozionale. Questa è per lui la vera scoperta: essere un funzionario pubblico, ma innamorato della possibilità di mettersi a disposizione degli altri. Russo arricchirà la discussione portando la sua esperienza nella tavola rotonda dedicata ai cambiamenti che attraversano il volontariato all’interno del convegno CSV Lazio del 16 giugno.
Con lui abbiamo parlato delle nuove forme di attivismo civico, di come il volontariato di protezione civile cavalchi il cambiamento, delle motivazioni che spingono i giovani ad avvicinarsi ad esso.

Il volontariato di protezione civile è nato con le grandi emergenze che hanno colpito il nostro Paese negli ultimi sessant’anni, come l’alluvione di Firenze del 1966 e i terremoti del Friuli e dell’Irpinia. Con l’alluvione in Emilia Romagna, vediamo come ancora oggi l’apporto dei volontari si innerva nell’organizzazione professionale della protezione civile. Un modello a cui guardano in molti. Quali sono, se ci sono, i problemi principali ad integrare un corpo di volontari in una struttura professionale?

Sisto Russo
Sisto Russo, Direttore Ufficio Volontariato e Risorse del Servizio Nazionale Dipartimento Nazionale di Protezione Civile, interverrà nella tavola rotonda dedicata ai cambiamenti che attraversano il volontariato all’interno del convegno CSV Lazio di domani, 16 giugno

«Sicuramente quello dei rapporti tra le istituzioni – che hanno regole e obblighi molto più rigidi – e le associazioni – più libere, con minori vincoli di un funzionario pubblico – è un tema e, quando il pubblico incontra il privato, qualche problema di allineamento c’è. In questo momento abbiamo di fronte un volontariato molto diverso rispetto a quello di sessant’anni fa e il fatto che, in Emilia Romagna, in alcune situazioni si sia invocato un contributo dei cittadini è legato anche alla comunicazione degli eventi. La solidarietà in Italia c’è sempre stata ed è stato bello vedere i giovani impegnarsi in quell’emergenza, ma sono stati forse poco valorizzati gli aspetti del volontariato organizzato di protezione civile. Perché questo è il modello a cui siamo arrivati con il Codice della Protezione Civile, introdotto dal Decreto Legislativo n. 1 del 2 gennaio 2018: la spinta volontaristica del 1966 è stata pian piano incanalata in percorsi che non hanno imbrigliato l’autonomia delle associazioni, ma ne hanno valorizzato l’aspetto specialistico. Così ora ci troviamo di fronte organizzazioni di volontariato che si formano, si preparano, hanno un’attenzione alla sicurezza e una partecipazione non più spontanea, ma consapevole. Questa è la vera novità, da coniugare, ovviamente, con le forme amministrative. Non sempre, poi, riusciamo ad essere allineati su alcune questioni: ad esempio, nel caso dell’Emilia, molti del volontariato organizzato di protezione civile potrebbero non esser stati contenti di non essere partiti in massa, ma attraverso contingenti organizzati, per un intervento coordinato e rispettoso dei principi di sicurezza ed operatività, per poi vedere ragazzi coinvolti senza alcuna regola di sicurezza, attrezzature adeguate, dispositivi di protezione individuale. Questo è forse il tema più grande: coniugare la spinta civica, che oggi vediamo in queste forze giovani che vogliono mettersi a disposizione, con modelli consolidati proprio per ragioni di sicurezza, rispetto delle regole organizzative, per essere a fianco delle istituzioni con efficacia operativa. Questi interventi estemporanei sono stati a volte utili, ma a volte anche pericolosi, perché condotti in assenza delle condizioni di sicurezza necessarie per operare, come, invece, vorremmo che operassero i volontari di protezione civile. La qual cosa potrebbe aver dato l’impressione che tutti possano fare questi tipi di intervento, senza rispetto di regole che, invece, i nostri volontari si sono dati nel corso del tempo, hanno accettato e confrontato con l’amministrazione pubblica, con tutti i livelli della protezione civile, dal Dipartimento Nazionale alle Regioni ai Comuni dove operano quotidianamente. Il nostro è un modello difficile da replicare al di fuori del nostro sistema proprio perché partiamo dalla base, per cui ogni cittadino può dare il suo apporto alle attività di protezione civile e, se lo fa in forma organizzata, abbiamo creato strumenti e modalità perché questo avvenga in maniera efficace».

Lei porterà la sua esperienza nella prima tavola rotonda, dedicata ai mutamenti che attraversano il volontariato. Esiste una possibile contrapposizione tra un volontariato di protezione civile che, per sua natura, richiede grande organizzazione e formazione, e alcune caratteristiche di maggior fluidità delle nuove forme di attivazione civica? Se sì, come cavalcare il cambiamento?

«Lo spirito dei volontariato è uno, mettersi al servizio della collettività. Che questo avvenga secondo le regole di protezione civile è un fatto connaturato alle situazioni in cui i volontari di protezione civile si trovano ad operare. Sappiamo come in emergenza sia più facile esporsi al rischio e facciamo di tutto per evitarlo, ma i nostri volontari fanno anche formazione, informazione e, con la prevenzione non strutturale, portano le loro conoscenze specialistiche ai cittadini. Penso che la voglia di mettersi a disposizione degli altri possa essere di stimolo ad incontrarsi e discutere di nuove forme di attivismo civico. In caso di emergenza, infatti, ragioniamo in termini di contesto, per cui, lì dove operiamo, non facciamo solo protezione civile, ma incontriamo chi fa volontariato su quei territori e si occupa di tematiche sociali e assistenziali. Insomma, il Terzo Settore viene in contatto con la protezione civile in emergenza: alla fine facciamo tutti emergenza. Come abbiamo sperimentato durante il Covid, quando ci sono stati scambi tra associazioni di volontariato e associazioni di protezione civile. A fare la differenza è una modalità di interpretare i ruoli a seconda delle situazioni. Certo, in emergenza, chi non è preparato si espone maggiormente, ma questo è qualcosa che va comunicato senza bloccare la spinta ad attivarsi. E, in questo senso, è vero che molto si può ancora fare, ma è altrettanto vero che qualcosa che è stato fatto. Pensiamo allo stesso Comune di Forlì, che accettava volontari che non facevano parte di organizzazioni di protezione civile, ma li coordinava, dando loro strumenti e indicando aree di intervento a minor rischio. Questa potrebbe essere una strada di collaborazione. D’altra parte, però, occorre considerare come incanalare questo spirito civico rispetto alle organizzazioni. Non esiste in questo senso una regola comune, ma forse indirizzare questi ragazzi verso il proprio Comune, verso le associazioni che hanno visto operare sul territorio consentirebbe di capire se da parte loro c’è un interesse a entrare in un mondo già organizzato. Un modo importante per mettere in collegamento chi ha voglia di fare e chi ha le competenze e l’organizzazione per farlo».

Negli anni il volontariato di protezione civile è diventato una realtà che conta oltre 5mila organizzazioni in Italia. Quale manutenzione richiede una macchina così complessa? I volontari possono essere più incisivi rispetto a prevenzione e sensibilizzazione o nell’intervento in emergenza?

«Il Codice della Protezione Civile ha fatto sì che la serie di disposizioni che governano tuttora il mondo del volontariato venisse messa a sistema, ha dato compiti chiari e ha sottolineato la rappresentatività e la rappresentanza che il volontariato di protezione civile ha rispetto alle istituzioni. Nel Codice è prevista la costituzione del Comitato Nazionale del Volontariato, con due Commissioni: una composta dalle organizzazioni nazionali e una dai rappresentanti delle regioni, organi consultivi e propostivi rispetto al ruolo del volontariato. Il Covid ha rallentato molto l’azione di questi organismi e la manutenzione del sistema, ma alcuni passi importanti sono stati fatti. Come gli Stati Generali del Volontariato di Protezione Civile del giugno 2022. A dieci anni dai primi Stati Generali, ci stiamo incontrati e abbiamo discusso di tutto quanto poteva riguardare l’apertura di un nuovo ciclo di sviluppo. Subito dopo c’è stato il rinnovo del Comitato e ora è in corso una serie di passaggi e confronti tra il mondo del volontariato e la parte istituzionale: tavoli di lavoro congiunti sul rapporto tra le specializzazioni del volontariato e le attività degli enti istituzionali, dalla cinofilia agli aspetti sanitari, fino all’impiego delle organizzazioni a tutela del patrimonio culturale. Temi che, nel corso degli anni, il volontariato di protezione civile ha portato all’interno della sua attività e che lo rendono una struttura operativa dinamica e articolata. Ambiti di collaborazione sono stati già avviati durante gli Stati Generali e altri ne emergeranno. Nel Comitato Nazionale, infatti, in questo momento c’è molto fermento, per arrivare alla definizione dei tavoli di lavoro congiunti, in cui confrontarsi su temi di interesse e di impatto per tutto il Paese. Un Paese – lo sappiamo – nel quale non va tutto alla stessa velocità, anche nel volontariato di protezione civile. Sia a livello di Comitato Nazionale che di Regioni e Province autonome, ci stiamo confrontando anche sull’esigenza di creare regole comuni da poter calare in contesti differenti. È un momento di crescita e di revisione di rapporti e modalità che ci hanno portato ad un livello di grande importanza del mondo del volontariato di protezione civile.
Rispetto all’incisività dei volontari nei diversi settori, sia come Dipartimento, sia come volontariato di protezione civile, diamo lo stesso peso alle due anime della prevenzione e della sensibilizzazione da un lato e dell’intervento in emergenza dall’altro. Le nostre organizzazioni vengono da percorsi differenti e si sono evolute e specializzate in campi diversi. La loro duttilità è altissima, così come la varietà dei compiti svolti. Fa parte anche dello spirito degli aderenti, che non sono selezionati per il tipo di attività che portano avanti, ma partecipano per affinità alle attività associative. Il fatto, quindi, che, all’interno della stessa associazione, si riesca a svolgere sia emergenza che comunicazione è una forza molto importante. A maggior ragione quando si tratta di ambiti più territoriali: uno degli aspetti più importanti per il volontariato è la profonda conoscenza del proprio territorio e la capacità di renderne partecipi i cittadini. Una buona forma di volontariato è quella che parte dai piccoli centri, dai gruppi comunali, dalle associazioni territoriali e che finisce per avere in automatico un doppio ruolo, di informazione e di intervento al fianco delle istituzioni nell’attuazione del piano di emergenza».

Tra i compiti dell’Ufficio che lei dirige, c’è la promozione dello sviluppo del volontariato organizzato di protezione civile. Come le sembra rispondano i giovani all’invito sperimentare percorsi di volontariato? Dal suo osservatorio, quali le principali motivazioni che avvicinano i giovani al volontariato di Protezione Civile?

«Come Dipartimento Nazionale abbiamo, attraverso le nostre associazioni, un osservatorio privilegiato e registriamo come, in effetti, la partecipazione alle attività di volontariato non sia più così semplice. Molti fattori legati alle esigenze dei giovani, altri di carattere sociologico stanno facendo emergere alcune difficoltà a che vi sia un buon ricambio di volontari di protezione civile. Gli stessi dati del Censimento permanente delle istituzioni non profit Istat hanno registrato un importante calo di partecipazione nel volontariato e anche noi abbiamo le nostre defezioni. Sicuramente il volontariato di protezione civile è un mondo che attrae, per la continua tensione all’operatività, i modelli a cui ispirarsi, la formazione all’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, tutti elementi che possono portare ad una maggiore presa sui giovani. Ma non basta. Insieme alle associazioni dobbiamo trovare chiavi di lettura rispetto all’impegno richiesto, perché un volontario di Protezione Civile è chiamato a tanta formazione e tanto addestramento, per cui finisce anche per limitare il proprio tempo libero. Nostro compito è, quindi, anche creare le condizioni affinchè ci sia questo tipo di attenzione. In questo senso portiamo avanti la campagna di informazione Io non rischio, realizzata dalle associazioni sotto il coordinamento del Dipartimento, per diffondere consapevolezza sui rischi che riguardano i territori, occasione per creare link tra le stesse associazioni e i giovani. Cerchiamo, inoltre, di far crescere il sistema anche in altri modi: quest’anno, ad esempio, abbiamo ripreso il lavoro con le scuole primarie di secondo grado, con l’organizzazione di campi scuola in cui i ragazzi hanno modo di interrogarsi sugli aspetti base della protezione civile e sentirsi parte del sistema. Sul lavoro con le scuole stiamo tornando con una nuova spinta: sono, infatti, in avvio sperimentazioni ulteriori e tante ne vediamo nascere spontaneamente, frutto di accordi diretti da parte delle Regioni e delle associazioni, per far sì che l’essenza della protezione civile arrivi anche in ambito scolastico. Recentemente, ad esempio, la mostra itinerante Terremoti d’Italia, nelle sue tre tappe siciliane, ha visto i giovani molto coinvolti, accompagnati in un percorso guidato sul rischio terremoti, attraverso gli studi fatti e gli interventi e le azioni per ridurli. Le scolaresche sono state i visitatori più assidui e attenti».

A questo link l’intervista a Enrico Serpieri, che ha introdotto il primo world cafè, a questo l’intervista a Gianluca Cantisani, che ha introdotto il secondo. Qui l’intervista doppia ad Annalisa Casino e Monica Di Sisto, che hanno introdotto il terzo. Qui l’intervista a Rose Marie Scappin, che, insieme a Beatrice Tabaccoqui l’intervista, sarà nel panel dedicato alle nuove forme di attivismo civico. Qui, invece, l’intervista a Mauro Del Barba, dedicata alle società benefit e al rapporto tra profit e non profit. Qui l’intervista a Franco Parasassi, che interverrà sui rapporti tra profit e non profit, e qui a Fabio Giglioni, che interverrà sulla collaborazione tra associazioni e istituzioni.

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